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Omaggio a Lorenzo Calogero: “Un bisbiglio lungo il cammino”

Ensemble dedicato a Lorenzo Calogero

Nell’elaborazione del progetto di Tornare@Itaca, dedicato al viaggio nella poesia, ai versi della Merini nel primo anniversario della morte, a cui è dedicata la parte iniziale della rassegna appena conclusa, si sono affiancati da subito quelli di Calogero, di cui si celebra il centenario della nascita. Due eventi che si sono richiamati l’un l’altro, quindi.
Ma l’idea è stata anche quella di proseguire nel viaggio della speranza che ha unito la Calabria al Nord e a Milano in particolare.
E’ nato così questo incontro tra due poeti diversi accomunati dall’inquietudine che nasce dalla consapevole inadeguatezza al vivere e che trova nella poesia l’unica forma di vita possibile.

Poesia di passione esperita e sofferta quella di Merini con una vena mistica che la pervade e la accompagna nel suo lungo svolgersi fino agli ultimi anni.
Poesia dell’amore a lungo atteso, immaginato e mai vissuto quello di Calogero e l’immagine associata a lui fin dall’inizio del protagonista del film “Il pianista sull’oceano”, che, arrivato sul punto di scendere finalmente dalla nave su cui è sempre vissuto per raggiungere l’amata, si ferma sulla passerella che lo porterà a terra e torna indietro.
Un tendere verso che non riesce mai a concretizzarsi nell’evento, nell’azione risolutrice agognata ma temuta perché possibile portatrice di un sommovimento devastante. E la solitudine che ne deriva, invocata come ultimo baluardo e quel senso di impalpabile sospensione e di incompiuto che rende unica la poesia di Calogero.
Agli artisti è stato dato il compito di tradurre con le modalità del linguaggio artistico le emozioni che i versi di Lorenzo Calogero hanno suscitato in loro.
Poesia ed arte legate da una visione dell’esistente che si traduce in simboli e in un linguaggio immaginifico, perché se la poesia è tale non può non richiamare alla mente le immagini in cui significativamente si condensa.

Del pari l’arte che non si limita ad illustrare la superficie delle cose, ma scava e porta alla luce significati nascosti si traduce a sua volta in immagini della mente, in una messa in scena che cela per svelare.
Una mostra a tema sembra contraddire l’assunto dell’arte, la sua libertà assoluta.
Ma all’artista, in realtà, si offre un motivo per continuare una ricerca in atto che non limita la sua libertà, così come la tematica obbligata dei secoli passati non impediva agli artisti di emergere, pur nei canoni prescritti, con la loro personalità.
Una mostra collettiva è una narrazione a più voci, che si amalgamano senza appiattirsi, legate da un filo conduttore, in questo caso, la poesia di Lorenzo Calogero.
Come narrare un’ossessione e nel contempo tentare di liberarsene?
Rappresentandola e facendola emergere da una tela tagliuzzata e ricomposta a collage da cui spuntano lame puntute e minacciose pronte a ferire. L’ossessione di un poeta che si esprime nelle composizioni pittorico/plastiche di Antonio Baglivo e se nelle pieghe dell’esistenza si nascondono i segreti inenarrabili, le emozioni, i tremori, le nostalgie del non avuto del poeta/artista, allora la tela non è più teatro di rappresentazione, ma rappresenta se stessa e riserva per sé angoli inesplorati (Cesare Berlingeri). La bellezza è una rosa che sfiorisce, ma lascia pur sempre il segno di un passaggio nella carta ingiallita con ai bordi parole e versi, perché si conservi memoria (Teo De Palma) e nei solchi bianchi di materia spessa imprime un marchio e sagoma una forma (Antonio Violetta).
In Picasso lo iato tra la vita e l’arte si colmava e anche le pagine di un giornale entravano a far parte di collage su fondo nero, bruciacchiate dal fuoco e strappate a comporre un intrigo letterario di natura visiva con affaccio sul vuoto in Anna Boschi.

Quadri di un’esposizione: momenti parcellizzati di una visione, segmenti di paesaggio mediterraneo con lettere sovrapposte: la Calabria di Calogero (Antonio Noia).
Ora la tela che ha coperto la superficie del quadro non aderisce perfettamente, ma lascia increspature, quasi rilievi di un paesaggio ignoto che si rivela al tatto ed allo sguardo e si aggrippa e si avvolge e si indurisce. Estrema difesa allo sguardo (Tarcisio Pingitore), ma più efficace allo scopo è lo scudo che trasuda fatica e protegge con la fragilità della terracotta a tecnica Raku e con semi fecondi di vita (Armanda Verdirame) e mentre fantasmi della mente appaiono su un cielo arrossato dal tramonto (Francesco Correggia) io ho piegato per te tre volte questo foglio fino a farne un piccolo quadrato da nascondere nella tasca della tua giacca, perché tu possa aprirlo e guardarvi dentro la vita (Andrea Fogli) e sulle mie tavolette sumeriche ho trascritto le parole del silenzio (Salvatore Pepe); così ho preso possesso del mio spazio e l’ho racchiuso in un cubo che ho dipinto di bianco, perché bianco è il colore della purezza e del vuoto (Antonello Curcio) e alla stoffa di natura industriale ho ridato dignità di fattura operosa con l’olio di lino per rivelare l’anima nascosta nelle forme di triangolo (Athina Joannou).
Il sorgere della luna impensierisce il mio sguardo perciò taglio le stampe antiche in minutissimi pezzi e disegno mari innominati e monti sorgenti da acque pietrificate (Anna Lambardi) e mentre misteriose forme cuneiformi esplodono da un incerto orizzonte spaziale (Gianfranco Sergio), un viso di bimbo parla con gli occhi lo stupore del mondo (Matteo Accarino) ed enigmatiche forme di lettere ben definite giocano una danza di antichi colori (Marcello Diotallevi) e la partitura di segni contaminati fra immagini e parole è continuamente interrotta e “lo strappo è l’urgenza dell’istante che precede il corpo da salvare” (Franco Flaccavento).
E’ per te quella colt mineralizzata, per ricordare alla tua voce che implora “non seppellitemi vivo” che le parole sono pietre (Enzo Guaricci) e se la profondità ha un nome questo è blu. Come un cielo in cui perdere lo sguardo e un mare in cui affondare ancestrali memorie confusive (Cloti Ricciardi) e da cui emergere con forme e segni da nascondere e coprire in un incessante gioco di disvelamento/occultamento da certi contorni e sbavati colori ad arte (Giulio Telarico).

Fu l’impressione del sole levante a dare il nome agli Impressionisti che Turner precedette con le sue nebbie che inghiottivano persone e cose e un vento le travolge in una nube bianca che si muove fra gli estremi del più infinito e meno infinito secondo un calcolo infinitesimale (Antonio Pujia Veneziano), così oggi scrivo per te poesie surreali perché le parole volino con ali colorate (Luca Maria Patella) di una farfalla nata dalla macchia di Rorschach (Anna Foschi) e lascino impronte memorabili di piedi nudi neri di terra (Neda Shafiee) e incatramate risaltino svelate dalla fiamma ossidrica a rivelare il profilo di un volto, il presagio di morte di una nube che passa (Giuseppe Miriello) o appaiano sulla superficie corrosa da smerigliature precise e impietose di alluminio argentee come la luna contro un cielo d’agosto (Mirella Saluzzo) o intagliate nel legno con moto ondoso guizzino improvvise e improvvide (Mavi Ferrando) per comporre unica e nostra una maschera amica (Enrico Cattaneo).

Mimma Pasqua

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