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Omaggio a Lorenzo Calogero: “Un bisbiglio lungo il cammino”

Nel paesaggio di luci dorate e di ombre la materia pittorica si fa medium di pensieri e di stati d’animo che, analogamente ai paesaggi scaturiti dalla penna del poeta, possono rivelare un senso ora cupo ora panico della natura, nel quale si rispecchiano i passaggi della mente dall’abisso più profondo all’orizzonte più luminoso. Il magma che cola alle spalle di Calogero in una nota fotografia del poeta, riadattata in questa occasione da Bassiri Bizhan e da lui intitolata al Testimone di un tempo immortale, come si legge nella poesia calogeriana L’opera, ci introduce in quella ‘condizione magmatica’ che l’artista identifica con lo scorrere del sangue nelle vene e con il «cervello nella sua condizione creativa». Seguendo questo doppio binario Bizhan crea una fusione, anche formale, tra la figura del poeta e la materia retrostante che si fa simbolo di un’ispirazione inarrestabile, travolgente e a tratti perfino distruttiva. Dal muro di magma di Bizhan al muro di mattoni di Ruggero Maggi l’omaggio a Calogero continua il suo percorso in una dimensione psichica, umana e sociale: le opere che Maggi ambienta nell’iconosfera urbana, come quella qui proposta, esplicitamente riferibile alla caduta del Muro di Berlino e alle nuove aperture da essa consentite, innescano riflessioni non soltanto sulla contrapposizione perdita/ritrovamento ma anche, ci dice l’artista, sulla resistenza e l’impenetrabilità del «muro che l’uomo» – come lo stesso Calogero – «innalza all’interno del proprio spirito». Un messaggio di luce e di vita è invece quello che suggerisce il lavoro di Francesco Guerrieri. Fasci luminosi che si irradiano in direzioni parallele e convergenti intorno a zone bianche rimandano a componimenti calogeriani particolarmente ispirati al desiderio e ai sentimenti amorosi, come Angelo della mattina, incentrato sull’attesa di un «angelo» dagli «infiniti fulgori» e sulla visione di una bocca femminile ideale che il poeta descrive come «una musica una forma magica». Nell’opera di Daniela Monaci un paesaggio al tempo stesso naturale e psichico sembra ricreare le latitudini dell’inconscio, del sogno e della memoria evocate dalle liriche di Calogero. Questo orizzonte di vaga suggestione metafisica che si fonde con un volto dormiente riconduce alle lande ultrasensibili immerse nel silenzio e nella solitudine che Calogero, assorto «in dell’Eterno ascoltazione», come recita la poesia Poco suono, fa emergere dalle profondità del suo essere. Una natura diversa, di tono più lieve e intimista è quella che propone l’opera di Giuseppe Salvatori. Sulla superficie lignea, chiara e levigata, si dispongono qua e là sagome dorate di fiori, quasi un omaggio ai versi di Calogero nei quali la natura, da presenza divina nelle prime prove poetiche a strumento di analogie nelle poesie più mature, costituisce una fonte inesauribile d’ispirazione. Con un dipinto raffigurante un volto sul quale si sovrappone la sagoma evanescente di un calice Bruno Ceccobelli sembra condurci nell’universo simbolico e immaginativo del poeta.

Elementi enigmatici e sacrali quali gli occhi e la coppa costituiscono altrettanti riferimenti a una visione spirituale ed esoterica che solo il poeta, in qualità di veggente, può raggiungere. Un aspetto più carnale e concreto del fare poetico si evidenzia invece nell’opera Libri Liberi di Lucilla Catania. L’allusione ‘fallica’ e la corposità materica di questo lavoro rimandano a quello che per l’artista è il «binomio Natura/Uomo, fonte prima e generatrice di vita ed anche elemento ispiratore di riflessione filosofica e tensione poetica». Il legame con Calogero si stringe allora intorno a questa concezione prolifica dell’arte e al suo sottrarsi a ogni moda e mediazione razionale. Un’altra opera carica di materia simbolica è quella di Luce Delhove, costituita da un ordito in rilievo che si fa espressione della laboriosità femminile, minuziosa e ancestrale. Il tessuto fitto e impenetrabile di questo lavoro ci appare come una metafora della complessa trama che formano le liriche di Calogero, nelle quali la parola, «particella di vita», diventa volta per volta «ermetica, allusiva, analogica, imprevedibile». Un altro tipo di fisicità, più scabra e primaria, è quella che caratterizza il lavoro di Angelo Aligia ispirato al componimento Essenza del poeta. Quel «solitario origliere» evocato nella poesia trova in quest’opera un’interpretazione fedele alla ricerca dell’artista, volta a riproporre gli aspetti più autentici del processo creativo inteso come rituale arcaico intimamente legato al contatto prensile e diretto con la materia. Di qui l’origliere ruvido e primario dove le diverse origini dell’arte e della poesia si uniscono in una dimensione umana, antropologica e metastorica. L’omaggio di Marco Ferri al poeta calabrese, ispirato ai versi di Poco suono, è costituito da nove piccoli riquadri nei quali si addensano masse corpose e proteiformi. Le tonalità cupe e l’accavallarsi inquieto delle forme sembrano quasi una trascrizione plastica della dimensione angosciosa e convulsa che ha accompagnato Calogero nella sua esperienza poetica e personale. Su un piano neo-oggettuale si colloca invece il lavoro di Fiorella Rizzo, rappresentato da un fazzoletto dal quale sporge inaspettatamente una lampadina. L’associazione incongrua di questi due elementi si tramuta in un incontro fortuito che può a sua volta generare un’immagine inedita dai significati molteplici. Così anche le parole del repertorio calogeriano che attivano una pluralità di sensi e di suoni e che scavalcando la prevedibilità del racconto si aprono alla costruzione poetica più irrazionale e istintiva. Una ‘cellula’ evanescente nell’orizzonte brumoso di un paesaggio astratto e rarefatto è quanto i versi del poeta calabrese hanno ispirato al pittore Walter Puppo. Le tonalità smorzate e le forme esili di questo dipinto costituiscono il corrispettivo di un paesaggio interiore dal quale affiorano, parallelamente ai componimenti calogeriani, penombre, nubi presaghe di morte e tracce abrase di speranze deluse. Di una tonalità decisamente più provocatoria si tinge l’opera di Dario Carmentano, rappresentata dalla fotografia di un cane in un’aiola accompagnato dalla scritta Vendesi cagnolino perpetuo. Nelle opere dell’artista sono molteplici i simboli e le icone utilizzati allo scopo di focalizzare l’impatto socio-culturale prodotto sull’individuo da oggetti di culto, espressioni verbali, ed altro, caratterizzanti la nostra società.

Questa “manipolazione” dei codici, trasgressiva e non di rado polemica, ritorna anche nell’immagine qui proposta, ricordandoci la figura anomala ed emarginata di Calogero. Quella stessa che spinse il poeta Leonardo Sinisgalli a scrivere: «Come un cane infetto/ha raspato alle vostre porte/nessuno gli ha aperto».

Angela Sanna

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